MICHELANGELO PERGHEM GELMI 1911 - 1992

Links  - Note Legali       archivioperghem@libero.it 

Catalogo della mostra “Michelangelo Perghem Gelmi”, Palazzo Trentini, Trento, maggio 2003, Editrice TEMI.
Per gentile concessione della Presidenza del Consiglio Provinciale della Provincia Autonoma di Trento.

L’ICASTICO PSEUDO-SURREALISMO DI PERGHEM GELMI.
Testo critico di Maurizio Scudiero.

Ritenendo chiara la situazione generale sull’opera di Michelangelo Perghem Gelmi, così come l’ha ben sintetizzata Elisabetta Staudacher nel saggio che precede, credo sia opportuno affrontare quello che ritengo il periodo più emblematico, sebbene forse anche il più conosciuto, dell’artista, e cioè quello definito a torto od a ragione “surrealista”.
E direi subito “a torto” in quanto il nostro certo non muoveva dalle medesime motivazioni concettuali come pure si muoveva, a sua volta, in altro contesto culturale e, non ultimo, temporale, per poterlo includere nell’area surrealista.
E dunque, a maggior ragione, vanno approfondite le motivazioni oggettive che sostengono questa produzione del tutto particolare nel panorama trentino.
Innanzitutto vanno ricordate le solide basi culturali del Perghem, le iniziali influenze di Paulucci, così come le atmosfere sudamericane: che certo da sole non bastano. Va poi considerato l’aspetto professionale, gli studi d’ingegneria ma con la vocazione di architetto, proprio per potersi aprire maggiormente all’arte. Tutto ciò sedimentandosi su quella particolare attitudine a fissare le particolarità nell’ambito delle complessità, ha prodotto una sua personale “weltanschauung”, una visione del mondo condita di una sottile ironia che è sfociata in un’attitudine che osserva la realtà da un punto di vista “discosto”, direi “superiore”, nel senso di un particolare distacco dalle contingenze terrene che permette di cogliere sempre e comunque il dato alieno, atipico, o talmente macroscopico da non essere nemmeno notato dalla massa. Ce lo confermano i titoli di molte delle opere, titoli solo apparentemente “urlati”, nel senso di eclatanti, ma in realtà in chiara sinergia con i dipinti relativi.
Insomma, quello che emerge chiaramente dal complessivo di questi dipinti, al di là di sporadiche e plateali citazioni Magrittiane, è propriamente questo punto di vista spiazzante, questo giocare semanticamente con le parole, oppure il prenderle enormemente “sul serio” in quanto tali (forse Perghem aveva avuto notizia di un libro dei poeti transmentali Krucenyk e Klebnikov, edito a Mosca nel 1913 ed appunto intitolato “Slovo kak takovoe”, cioè “La parola in quanto tale”). E il risultato, anziché sortire suggestioni surreali, cioè atmosfere di oniriche peregrinazioni mentali, spesso accentuate da note di pessimismo fobico, è piuttosto quello dell’ironia, dell’icastica sottolineatura di vizi e vezzi del mondo che lo circonda e che egli, da acuto osservatore, analizza attentamente con una lente per scovarne il “lato debole”, ed allo stesso tempo comico. Un po’ come quel suo personaggio, “Il collezionista”, che ritrae intento ad osservare il pube di una fanciulla nuda in un dipinto di Modigliani.
Ecco, credo che quest’attitudine alla citazione possa essere un’ulteriore chiave di lettura per comprendere più a fondo il percorso della sua arte sullo scorcio degli anni Settanta-Ottanta. Un’attitudine che ci suggerisce come il Perghem, dall’alto di quella solida preparazione culturale che si diceva, ad un certo punto si sia propriamente divertito a giocare con gli “ismi”, cioè a mescolare stili e tendenze dell’avanguardia del XX secolo, certo con un particolare occhio di riguardo per il Surrealismo: ma prevalentemente come “modello decorativo”, e non certo intellettuale. È infatti, proprio l’assenza di connotazioni psico-patologiche, l’assenza di angoscia per la dissoluzione temporale (il “tempo che scorre e più non torna” è un leit motiv del surrealismo che prende forma in orologi quasi liquefatti e privi di lancette), ed è anche, e infine, l’assenza di metamorfosi più o meno mostruose ovvero di incubi psico-fisici, a distanziarlo ulteriormente dal Surrealismo e piuttosto a collocarlo in un ambito che poi è del tutto suo, e cioè di una posizione di “surrealtà” o “sovra-realtà”, che è una posizione iper-oggettiva, di grande concretezza, proprio perché si sostanzia sui dati del “reale” che l’artista va semplicemente ad amplificare nelle sue coordinate semantiche, cioè operando sul “complessivo dei significati”. Un po’ un lavoro da sociologo: al ché si potrebbe parlare di “sogiologismo” di Perghem Gelmi. Una boutade, certo. Ma è altrettanto certo che dal suo studio su Piazza Venezia, che fu prima di Umberto Moggioli, il Perghem osservò sin dai primi anni Settanta la Trento cattolica e bacchettona, in una successione politicamente “corretta” di monocolori bulgari.
Di qui l’ulteriore scarto in avanti, verso un situazionismo che si lasciava dietro le connotazioni oniriche per virare verso accentuazioni satiriche e di aperta critica istituzionale. Chiave di volta per comprendere questo nuovo corso è appunto il grande dipinto con tutti i politici trentini dell’epoca (1985) che rendono il duplice omaggio al potere spirituale contemporaneo (l’arcivescovo Alessandro Maria Gottardi) ed a quello antico, quando cioè al potere spirituale si sommava anche quello temporale (il principe-vescovo Bernardo Clesio. La chiesa-stato).
Da questo momento in poi, i contatti con la realtà sua contemporanea si faranno sempre più stretti, a volte anche quasi didascalici (come nell’omaggio a Guido Polo), ma sempre sostenuti da un atteggiamento di “disincantata distanza emotiva” da quanto osserva, e dipinge, proprio per riuscire a cogliere quegli aspetti di “sovra-realtà” che uno sguardo frettoloso, quello appunto moderno, non riesce a captare. Un atteggiamento che gli permette di richiudersi in un apparente freddo e fotografico descrittivismo, quasi un “album” dei suoi viaggi verso l’estremo Est (la Cina) o verso il Sudamerica, allorché la realtà locale gli diviene sempre “più stretta” (proprio perché ipocrita), e dunque lontana.
Sarà invece in questi appunti di viaggio che Perghem ci lascerà l’ultimo grande ciclo di opere pervase da una lucida osservazione di particolari apparentemente banali (cesti di paglia, cappelli, sedie, ecc.)
Una sorta di “minimalismo semantico” che ci riporterà alle ragioni prime della sua pittura, cioè alla ricerca sul “senso delle cose”, o se si vuole della vita.

Torna