MICHELANGELO PERGHEM GELMI 1911 - 1992

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SYNTHESIS, Anno 1 N. 2/3 luglio-agosto 1973.
Testo critico di Gian Pacher.

Nove anni fa, pressappoco di questi tempi, ho conosciuto Michelangelo Perghem Gelmi pittore. Di lui sapevo l’impegno di ingegnere, la sicurezza del professionista, così come non ignoravo, per comune amore decoubertiano, la maglia azzurra di atleta ed altre benemerenze sportive di fondista pioniere. La consapevolezza che Perghem Gelmi fosse anche pittore, artista di colore, completava così la struttura del personaggio, per altro aperto all’incontro, e allo stimolo di ricerche culturali e di esperienze umane. Negli anni che hanno seguito quel nostro primo incontro, non ho trascurato affatto il lavoro pittorico di Perghem Gelmi, tanto più interessante dalla consapevolezza di trovarmi vicino ad un pittore, libero da moduli e da linguaggi precostituiti. La ragione di questo convincimento stava nella prevalenza della linea curva; vale a dire, nella disposizione ad una dinamicità interpretativa, ad una ansia di ricerca, ad un bisogno di spezzare rapporti di masse e di volumi. Più ancora: esistevano le premesse per dire come Perghem Gelmi provasse un piacere quasi gestuale, direi anche fisico, nel determinare una carica emotiva dalla quale, poi, inventare un tipo di espressione totalmente libera.
Questo senso di libertà trova la sua rispondenza piena nella proposta della fantasia. Una proposta che, si badi bene, non costituisce una formula di evasione, ma, piuttosto, una elaborazione mentale, rigorosa ed attenta, verificata poi nella costruzione del racconto, nella frantumazione caleidoscopica delle emozioni. Il processo interiore attraverso il quale Perghem Gelmi, in un momento umano di maturità piena, ha raggiunto la consapevolezza di una operatività fuori dalle formule dei rapporti figurativi ed architettonici, non è stato facile. Tuttavia, ora, costituisce una libera scelta di felicità ritrovata in cui la preparazione specifica, il gusto, la persuasione tecnica, si accoppiano in felice simbiosi, alla fantasia. Ci sono quindi alcuni momenti di questo Perghem pittore di un surrealismo fantastico (dunque un surfantastico ?) che meritano di essere analizzati.
Per primo, si manifesta un discorso di tipo onirico, con chiari riferimenti di valore letterario, a volte crepuscolare, spesso autobiografico e dove, con attenta distribuzione delle forme e dei rapporti strutturali,si evidenziano simboli antropomorfici e fallici. C’è, in questo tipo di racconto, una sorta di “jeunesse retrové”, allusiva e romanticamente distaccata; resa più struggente dalla saggezza in grado di guardare nel tempo con il sapore della memoria. Poi, per singolare contrappunto,Perghem Gelmi offre un mondo diverso: vivo, aggressivo, fortemente contrastato, cromaticamente abbacinante. È il ricordo del suo soggiorno in America del Sud, in Argentina ed in Brasile. Il colore esplode con un Carnevale di Rio, con la stessa forza propulsiva, con la stessa sensualità, con la travolgente intensità dei colori. Maschere e totem, spezzoni di feste, visioni di spazi interminabili, contrasti di colore, forza cromatica intesa sia nel colore, che nella sua accezione musicale, sono i motivi più suggestivi di una tematica dove la surfantasia di Perghem Gelmi trova rispondenza piena, anelito ricco e respiro suggestivo. Non a caso, in queste opere, dal timbro tonale così caldo, si riscontra un omaggio a Lucio Fontana, anch’egli dell’America del Sud. E Perghem Gelmi, interpretando quei tagli sulla tela, rivela, allo stesso modo, l’esistenza di uno spazio libero anche dietro il quadro. Uno spazio libero dove vivere pienamente, operare con totalità il favoloso contrappunto di colori e di forme, di azione pittorica e gestualità, scaturito dal contatto con la prodigiosità rigogliosa della natura.
Ed ecco a questo punto il momento, a mio avviso, più interessante, più personale di Perghem Gelmi che, nella invenzione di singolari piante, stupende e rigogliose, sensitive e sensuali si scopre botanico immaginario. È come inventare una nova specie, come operare attraverso incroci di germogli e di pollini, tanto da vedere queste piante astrali, che al posto del fiore hanno degli occhi scrutanti come una telecamera extraterrestre, come ad una sorta di “giraluna”. I girasoli, infatti, stanno sulla Terra. Sono forme di alberi e di piante che non esistono nella nostra botanica, ma che malgrado tutto, hanno con la stessa qualcosa di familiare, sconosciuto, ma senza dubbio esotico e, forse, come detto extraterrestre riferimento. L’aspetto interessante di questo tipo di proposta è che Perghem Gelmi non modifica la sua flora in senso metamorfico, come farebbe un tipico operatore surrealista, né crea delle combinazioni allusive, oniriche, impensate, orride. Tutt’altro: egli si comporta con il rigore di uno scienziato che giunto in luogo singolare, diverso, fuori dalle comuni latitudini prende atto delle realtà esistenti, classificandole nelle anomalie, studiandole, proponendole fuori da ogni possibile tentazione metafisica. Per queste ragioni mi pare importante sottolineare il significato nuovo del lavoro di Perghem Gelmi che riesce a determinare un tipo di botanica, rovesciando il rapporto del vero con il fantastico, per trarre da questo singolare scontro dialettico un totale fatto di libertà creativa.
Nella pittura di Perghem Gelmi, non ci sono incertezze né tecniche, né, tanto meno, nel respiro formale del grande caleidoscopio della fantasia dove lo spazio operativo offre, senza esitazione, una lettura totale di umana partecipazione.

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