MICHELANGELO PERGHEM GELMI 1911 - 1992

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Il NUOVO GIORNALE, settimanale, ottobre 1986.
Recensione di Ennio Concarotti.

“Nei quadri di Perghem Gelmi il sale-pepe dell’ironia”.
Presso la Galleria d’arte “La Meridiana” (via Calzolai, 65) espone sino al prossimo 23 ottobre, Michelangelo Perghem Gelmi, un singolare pittore trentino surrealista di spirito ma operante su una figurazione del genere tradizionale, ben compiuta e leggibilissima, risolta con buona tecnica e con un ottimo impianto compositivo del quadro (particolare, questo, che ci spiega come Michelangelo Perghem, oltre che pittore, sia anche architetto).
Il surrealismo di Perghem, insomma è più contenutistico che formale. La sua pittura è come una bella nave solida e ben disegnata che batte la bandiera di un Paese che si chiama “ironia”. Tutta la mostra piacentina di questo pittore è godibile dal punto di vista dell’ironia, dell’abilità fantastica, cioè, di sconsacrare, ridimensionare e comunque mettere in ridicolo e in contestazione certa filosofia spicciola e consumata dal troppo uso comune, l’ufficialità di certe situazioni, la celebrazione di certi “mostri sacri” della pittura e dell’arte.
Naturalmente, in tutti i suoi quadri, la didascalia che spiega l’inganno e lo sberleffo, assume un ruolo determinante nella spiegazione stessa del quadro. Queste didascalie sono come formiche rosse che bruciano nel cervello di chi pensa ancora alla pittura come espressione puramente estetica o messaggio didattico e moralistico. Sono come “fulmini a ciel sereno” che propongono la carica critica e demolitrice di una pittura ben fatta e ben costruita che però persegue altri scopi e altri traguardi.
Il surrealismo di Perghem più che derivazioni culturali e letterarie (anche se l’artista trentino si permette scherzosamente maliziose varianti di famosi capolavori di Goya e Modiglioni) trae le sue fonti di ispirazione e riscontri di natura popolare, riconducendosi all’interpretazione libera e intelligente di antichi proverbi e di intoccabili detti celebrati dal cosiddetto buon senso comune che Perghem rovescia come un paio di guanti. Perghem, a differenza dei canonici del surrealismo, non rompe e devasta la forma iconografica ma la attira, intatta ed estremamente piacevole, nella trappola di una verità che smentisce il linguaggio di quella forma e di quell’estetica.
La sua mostra è piacevolissima ma anche sorprendente. Siamo di fronte ad un pittore che sa dipingere bene ma che cambia tutte le carte in tavola con quell’ironia che travolge ogni significato. I suoi colori sono belli, matericamente allisciati e ammorbiditi, disposti in un’armonia compositiva che spesso raggiunge toni di poesia ambientale. Ma tutto ciò appare un pretesto per lo scatto di un’intelligenza critica (divertente prima per lo stesso autore e poi per l’osservatore) che accende scintille psicologiche amene, scherzose, scopertamente ironiche ma a volte anche con il veleno sulla coda, in una pittura apparentemente serena ed elegante.

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